Home » Blog » Tutela Bitcoin » Perchè l’Agenzia delle Entrate sbaglia a considerare le criptomonete monete estere

Perchè l’Agenzia delle Entrate sbaglia a considerare le criptomonete monete estere

Come ormai è noto a chi ci segue, l’Agenzia delle Entrate ha equiparato le criptovalute alle valute estere da un punto di vista tributario (risoluzione 72/E del 2016 e nell’interpello 956-30/2018).

E’ una interpretazione che fa acqua da tutte le parti come abbiamo avuto modo già di anticipare nei nostri precedenti post.

Ad esempio nel Rapporto di stabilità finanziaria 01/2008 di Banca d’Italia (https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/rapporto-stabilita/2018-1/RSF-1-2018.pdf) si è usato il termine criptoattività probabilmente proprio per distinguerlo da quello di valute virtuali e valute Fiat.

Inoltre che la criptovaluta non possa essere considerata giuridicamente una moneta è questione ormai assodata.

Per l’Agenzia delle Entrate, invece, e pur di cercare di tassare anche questo settore, i Bitcoin sono valute virtuali la cui valutazione ai fini delle imposte deve effettuarsi secondo il cambio in vigore alla data di chiusura di esercizio.

Vi è un però!

E cioè che i Bitcoin non possono essere iscritti quale attività monetaria in bilancio anche in quanto per il principio Ias 21.8(http://www.revisorionline.it/IAS_IFRS/Doc-antec.modifiche_da-ifrs9/ias21.html) a cui l’art. 2426c.c  rimanda per le definizioni, per elementi monetari si intendono le “unità di valuta possedute ed attività e passività che debbono essere incassate o pagate in un numero di unità di valuta fisso o determinabile“.

E d’altronde il principio contabile OIC 14 (http://www.fondazioneoic.eu/wp-content/uploads/2011/02/2016-12-OIC-14-Disponibilit%C3%A0-liquide.pdf) sottolinea come le disponibilità liquide debbono presumersi essere immediatamente utilizzabili per la società.

Ma proprio perché le criptovalute non possono essere assimilate a monete sotto il lato giuridico ne consegue che le stesse possono essere equiparate a mezzi di pagamento solo se accettati su base volontaria . Da ciò ne consegue che non essendoci certezza che vi sia la predetta accettazione non vi è conseguentemente utilizzabilità immediata.

Quindi seguendo le direttive della Agenzia delle Entrate si verificherebbero due situazioni differenti.

La prima riguarderebbe coloro che utilizzano i bitcoin per mining o per la propria attività commerciale e coloro che li usano come mezzo dipagamento/scambio/investimento.

Chi li utilizza come investimento e scambio dovrebbe considerare le criptomonete come titoli, mentre i primi dovrebbe indicare i Bitcoin ragionando in termini di costi/ricavi .

In considerazione dell’art. 83 TUIR per i soggetti IAS adopter e OIC adopter diversi dalle microimprese«valgono, anche in deroga alle disposizioni dei

successivi articoli della presente sezione (capo II sezione I), i criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione in bilancio previsti dai rispettivi principi contabili»

Quindi se il Bitcoin fosse considerata moneta estera si avrebbe un doppio criterio: le società individuali e quelle di persona dovrebbero considerare i Bitcoin come valute estere e quindi calcolarle ai fini della dichiarazione dei redditi a fine anno. Le società invece che adottano i principi Oic o Ias non dovrebbero seguire tale assimilazione arrivando così a due regimi fiscali diametralmente opposti .

 

Vuoi saperne di più?

Richiedi una consulenza

Leggi anche

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Iscriviti alla newsletter

E riceverai una mail ogni volta che pubblicheremo un nuovo articolo.