E’ di questi giorni la notizia che il Governo ha trovato un accordo in merito al delicato argomento della prescrizione stabilendo che i termini di decorrenza si blocchino dopo la sentenza di primo grado per tutti i reati.
E’ una decisione, a mio avviso, che ancora una volta agevola la casta dei magistrati e la loro troppo spesso ingiustificata inattività.
Si deve tener presente che la prescrizione nel nostro ordinamento è chiamata a svolgere una funzione di presidio del principio costituzionale della ragionevole durata del processo.
Se eliminiamo questo principio, il tempo dell’accertamento diviene infinito ed il processo stesso si trasforma in pena con evidenti ricadute sulla stabilità dei rapporti giuridici.
Già nella precedente legislatura, come sappiamo, vi era stato un allungamento dei tempi della prescrizione ed il risultato è stato il procrastinarsi ulteriore del processo penale in tempi oltremodo lunghi e reati quasi imprescrittibili ( ad esempio la bancarotta fraudolenta).
Con la nuova riforma, decisa in questi giorni dal Governo che entrerà in vigore nel 2020, non si distinguerà nemmeno più tra sentenza di condanna o di assoluzione.
Ma ci rendiamo conto?
Le contrastanti opinioni sul punto da parte dei cittadini spesso sono frutto di esperienze personali e del ruolo che gli stessi si sono trovati a rivestire in un processo ma non di una valutazione terza che deve guardare ad un interesse generale.
Se io ho subito un processo penale da innocente ovviamente avrò ben chiaro che ingiustizia sia sopprimere il diritto della prescrizione ma se questo processo l’ho subito come parte civile e magari l’imputato non è stato perseguito proprio per intervenuta prescrizione, allora griderò alla giustizia inneggiando a questa riforma e su un piano prettamente pratico nessuno gli potrebbe dare torto.
Pensiamo però ad un soggetto che viene assolto in primo grado ma che non avrà mai la certezza che il suo calvario processuale possa finire in quanto la Procura potrà in ogni momento appellare la sentenza di assoluzione anche a distanza di anni!
Chi direbbe che questa soluzione è giusta?
Eppure questo dice la riforma attuale!
Si deve subito chiarire come la prescrizione non debba essere vista come un salvagente per chi delinque perché è giusto che chi ha commesso un reato venga punito ma debba essere, invece, una garanzia in merito ai tempi in cui una persona deve essere giudicata.
Nella mia carriera di avvocato ho visto dei processi portati avanti dalla Procura così assurdi da far accapponare la pelle e non è concepibile che chi si trova a subire un processo penale debba avere sulla propria testa pendente una spada di Damocle ad libitum.
Il processo penale deve avere al proprio centro la figura dell’imputato e la sua garanzia e si deve basare sulla presunzione di non colpevolezza sino a che non interviene una sentenza definitiva di condanna, sentenza che però deve intervenire in tempi certi.
Ed allora il Governo non deve eliminare o procrastinare i tempi ulteriori di prescrizioni ma dovrebbe, invece, andare ad eliminare le cause che portano alla prescrizione dei reati.
Il vero problema del perché i processi si prescrivono è data dall’inerzia dei magistrati, dalla inefficienza di alcune Procure e dalla mancanza di personale e ciò è tanto vero a tal punto che in alcuni Tribunali i reati non si prescrivono quasi mai mentre in altri il tasso di prescrizione è molto alto in una sorta di giustizia a macchia di leopardo.
Da una recente statistica sull’argomento è emerso come l’incidenza tra processi definiti e processi prescritti mette al primo posto Torino, con il 34,3 per cento. All’ultimo Bolzano con lo 0,4 per cento. Tra i poli opposti ecco Milano attestata l’11,1%, Bari con il 9,2%, Napoli ferma all’8,8%, Palermo al 6,3%, Catania al 5%, Firenze e Roma affiancate con 4%, Caltanissetta è al 3%, Gela al 2,1%, Napoli Nord all’1,7%, Aosta all’1,4%, l’Aquila all’1,3 per cento.
Dove vi è organizzazione ed efficienza della magistratura, pertanto, difficilmente i reati si prescrivono!
Ecco perché a mio avviso, con questa riforma che tra l’altro dubito passi al vaglio costituzionale, si agevola ancora una volta la magistratura .
A tal proposito voglio fare un un esempio chiarificatore tratto dalla mia esperienza tra i tanti che potrei citare.
Mi capitò in studio un cliente il quale voleva separarsi dalla moglie che era scappata, da un giorno all’altro, con l’amante ed era preoccupato che la stessa ritornasse per portare via i figli minorenni. Tale preoccupazione era anche comune ai genitori e alla sorella della “fuggitiva” tantochè venne fissato un incontro presso il mio Studio proprio per discutere di alcuni aspetti del problema.
Durante tale colloquio i genitori e la sorella della moglie fuggita mi riferirono che quest’ultima, da un po’ di tempo, non era più in sé e che teneva comportanti a dir poco anomali tanto da essersi persino autolesionata.
Chiesi pertanto ai parenti della moglie del mio assistito di rendermi delle dichiarazioni scritte su ciò che stavano affermando cosa che costoro fecero senza batter ciglio, firmandole di pugno.
Durante la causa che poi si tenne queste dichiarazioni vennero prodotte in giudizio ma i genitori e la sorella, escussi quali testimoni, forse a causa di un ravvicinamento avuto con la controparte, smentirono tali dichiarazioni arrivando ad affermare persino di non averle mai sottoscritte.
Purtroppo per loro il mio assistito, conoscendo i suoi polli, durante il colloquio che si era tenuto presso il mio Studio aveva registrato il tutto e quindi partì nei confronti di costoro una denuncia per falsa testimonianza e calunnia.
A tale denuncia venne allegato il cd contenente la registrazione e la sbobinatura di tale conversazione che era stata fatta fare da una ditta specializzata. Da ciò risultava non solo che costoro avevano dichiarato quanto da loro sottoscritto ma che la stessa dichiarazione era persino stata riletta in loro presenza!
Il procedimento penale che si andava ad instaurare, pertanto, tanto era evidente e provata la commissione del reato, non aveva alcun bisogno di indagini proprio in quanto tutto il materiale probatorio era stato già prodotto.
Ebbene la conclusione delle indagini venne notificata dopo ben 3 anni e mezzo dalla presentazione della querela e …udite, udite…non erano state fatte indagini, non era stato sentito nessuno e tutto si basava sulla documentazione presentata all’inizio!
Quindi il Sostituto Procuratore nominato ci aveva messo ben 3 anni e mezzo per leggere dei documenti che si leggevano in un’ora!
E casi incredibili sono accaduti anche al contrario anche se per mia esperienza questo capita quando gli accusati sono poteri forti come le banche.
Mi è accaduto nel corso della mia professione che una querela presentata contro una banca per il reato di usura ove per accertare il suddetto reato è necessaria indiscutibilmente una perizia da parte di un esperto in matematica finanziaria (perizia econometrica) presentata la mattina alle 9, alle 12 venisse già archiviata sostenendo che il perito della Procura non aveva riscontrato profili di usura.
Quindi alle 9 veniva presentata la querela che l’ufficio trasmetteva subito al Procuratore il quale immediatamente nominava il Sostituto Procuratore incaricato a cui veniva, nel giro di pochi minuti, portato il fascicolo che subito si leggeva. Sempre con una efficienza incredibile il Sostituto Procuratore avrebbe chiamato il proprio consulente che non avendo altro da fare sarebbe accorso alla chiamata e dopo aver letto la documentazione avrebbe fatto, seduta stante la perizia che risultava, guarda caso, negativa.
Alla faccia della velocità!
E si aggiunga che la Procura era la stessa di quella che aveva impiegato 3 anni e mezzo per leggere le carte di cui al primo esempio.
Questo è solo un caso dei tanti che potrebbero essere fatti senza voler ricordare quelli in cui ricevuto l’avviso di conclusione delle indagini per anni non si è più saputo nulla o di processi di appello fissati a distanza anche di 7 anni!
Da questi esempi anche chi non vive questi fatti tutti i giorni, può avere contezza di quali siano o possano essere le dinamiche che portano poi alla prescrizione e vi posso assicurare che questi esempi sono all’ordine del giorno.
Debbo dire che per mia esperienza la fase dove il processo principalmente si blocca portando poi il reato a prescriversi è soprattutto quella delle indagini preliminari ( il 70% dei tempi di prescrizione maturano in questa fase) perché poi nel giudizio di primo grado i processi poi scorrono con regolarità.
Eppure i tempi di indagini dovrebbero essere scadenzati secondo i tempi processuali stabiliti dal nostro codice di procedura penale (massimo 2 anni nei casi più complessi) ma in pratica così non è.
Infatti se non si fanno indagini e/o si fanno nei primi 6 mesi e quindi non si richiede la proroga ( altrimenti ulteriori atti di indagine sarebbero inutilizzabili) non vi è un termine perentorio per inviare l’avviso di conclusione e notificarlo senza considerare poi che il termine processuale per lo svolgimento delle indagini decorre dal momento della iscrizione nel registro degli indagati del soggetto indagato e che se iscrivo inizialmente il reato contro ignoti questo non decorre.
La realtà è che la magistratura non ha mai termini perentori perché quelli vengono posti solo a carico delle parti e dei loro difensori (!) e questa modifica ulteriore della prescrizione ne è la ulteriore conferma che li legittima ancora di più.
Attribuire alla magistratura l’ulteriore oggettivo potere di tenere un soggetto sotto processo per un tempo indeterminato, mette a rischio l’equilibrio necessario tra poteri dello Stato anche in considerazione del fatto che oggi, più che mai, il giudice è creatore di norme visto il suo potere interpretativo sempre più esteso a fronte di norme non chiare.
Autonomia ed indipendenza della magistratura sono valori giusti in quanto idealmente posti a garanzia delle parti processuali ma che spesso assolvono funziona contraria soprattutto se agevolati da riforme come quella di cui stiamo discutendo.
Quello che deve e doveva essere fatto dal Governo non era andare a vedere i tempi di prescrizione ma individuare le cause degli attuali, già lunghi, tempi processuali.
Deve essere poi ben chiaro che in alcuna maniera l’attività difensiva né nelle fasi delle indagini, né in quelle del processo è in grado di allungare i tempi e questo perché i tempi li decide in autonomia la magistratura.
Nelle fasi di indagini la presenza della difesa è assai limitata, e pur tuttavia, come abbiamo già detto, il 70% delle prescrizioni matura in tale fase mentre, in sede processuale, le prescrizioni maturano a causa di problemi di notifiche, di cambi di giudicante, di assenza di testimoni, ecc…, nulla incidendo, appunto, eventuali rinvii determinati dal difensore o dall’imputato, che notoriamente non fanno correre i tempi prescrizionali ( se un difensore chiede un rinvio il termine di prescrizione si sospende).
Quello della prescrizione è quindi un problema delicato che molte volte ho temuto come avvocato delle parti civili ( si pensi ad esempio alla Strage di Viareggio dove si sta, a quasi 10 anni dal fatto, affrontando solo ora la sentenza di appello) o usato come avvocato difensore.
Ma il problema non è a mio avviso quello di temere o usare all’occorrenza uno strumento che la legge mette a disposizione e che il difensore ha anche il dovere, sotto pena della propria responsabilità, di usare ma del perché si è arrivati alla decorrenza del termine prescrizionale; il problema della prescrizione sta a monte e parte dal momento in cui una notizia di reato giunge in Procura.
Pertanto bisogna tutelare gli equilibri processuali e pensare a termini perentori in capo al magistrato nelle varie fasi del procedimento con la fissazione di termini e decadenze processuali radicali, alla non impugnabilità delle sentenze di assoluzione da parte del PM, al rafforzamento dei poteri della difesa in tutte le fasi del procedimento ecc.
Quello che deve essere fatto è abbreviare i tempi del procedimento penale e dare tempi certi alla magistratura e solo su questa nuova base sarà possibile rivedere in maniera giusta anche l’istituto della prescrizione che non sarà più strumento, come ora, di sequestro della persona e della onorabilità della stessa per un tempo indeterminato di cui solo lo Stato o meglio la Magistratura è arbitro.