Quando scappa, scappa! Ma la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 40012/2011 depositata il 4 novembre, ha stabilito che non è proprio così, in quanto urinare in luogo pubblico è reato a prescindere dal fatto che la condotta possa essere stata messa in atto in un luogo buio e appartato.
Un ragazzo si trovava in fila per entrare in discoteca quando, improvvisamente, ha un impellente bisogno fisiologico. Il ragazzo si allontana cercando un posto appartato per poter espletare il suo bisogno e poco dopo si ritrova dinanzi al Giudice per rispondere del reato di atti contrari alla pubblica decenza ( art. 726 c.p.).Il Giudice di primo grado assolve il ragazzo in quanto la condotta posta in essere dallo stesso non era stata nemmeno percepita dai presenti e nonostante in Italia vi siano questioni ben più importanti da seguire, il Procuratore Generale in persona decide di ricorrere per Cassazione contro la sentenza del giudice di primo grado sostenendo che questi avrebbe confuso il reato di atti osceni in luogo pubblico ( art. 527 c.p.) che richiede la visibilità dei genitali con quella degli atti contrari alla pubblica decenza (art. 726 c.p.) che invece richiede la sola possibilità di percezione del gesto contrario, appunto, alla pubblica decenza.
Sul tema la Cassazione con sentenza n. 15678/2010 aveva già avuto modo di specificare che “sono atti contrari alla pubblica decenza tutti quelli che in spregio ai criteri di convivenza e di decoro che debbono essere osservati nei rapporti tra consociati, provocano in questi ultimi disgusto o disapprovazione come l’urinare in luogo pubblico”.
Non si confonda le due ipotesi criminose in quanto,nel caso in esame, non si tratta di atti osceni ma bensì di atti contrari alla pubblica decenza e le fattispecie criminose debbono essere tenute ben distinte. Infatti, gli atti osceni in luogo pubblico sononquelli volti ad offendere “in modo intenso e grave il pudore sessuale, suscitando nell’osservatore sensazioni di disgusto”, mentre gli atti contrari alla pubblica decenza “ledono il normale sentimento di costumatezza, generando fastidio e riprovazione” (Cass., sent. 2447/1985). In conclusione – vista l’irrilevanza del fatto che i genitali siano visibili oppure no, nonché l’irrilevanza dell’effettiva percezione offensiva del gesto – la Cassazione da ragione al Procuratore Generale accogliendone il ricorso ai danni del ragazzo che si vedrà infliggere una condanna per il reato commesso.