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Pierino in Tribunale: la differenza tra teoricamente e praticamente.

Che differenza c’è tra teoricamente e praticamente?

Sembra un pò la quotidiana questione che noi legali dobbiamo affrontare per spiegare al cliente che quando si va in tribunale bisogna provare i fatti a sostegno della domanda e anche se si ha ragione non è raro uscirne perdenti perchè la realtà processuale è ben diversa dalla realtà quotidiana.

Insomma i fatti vanno provati e questa prova, che ai più pare semplice, spesso semplice non è!

La decisione di scrivere questo post nasce proprio da un contatto avuto in questi giorni in cui un cliente propone di fare una causa contro una società in quanto con quest’ultima aveva sottoscritto un contratto in cui la società X gli garantiva un entrata mensile per lavori di manodopera pari ad una cifra Y  salvo che la ditta avesse possibilità di passargli tali lavori. La ditta non mantiene l’accordo e il lavoratore chiede giustizia facendo presente che dal contratto risulta ovvia questa circostanza e che la causa sarà una passeggiata.

Il legale che si rispetti, invece di consigliare la causa per guadagnarci in proprio e partire in quarta, si studia attentamente il contratto e fa presente al cliente che è sì vero che la ditta avrebbe dovuto garantire una somma X mensile ma a condizione che avesse lavoro sufficiente a poter mantenere tale garanzia. Il cliente risponde che ciò è facile da dimostrare in quanto basterà ” semplicemente” avere copia delle fatture e documenti fiscali della ditta. Inoltre altre ditte vi sono che lavorano per la società e quindi sarà facile, anche in questo caso, chiamarle a testimoniare e dimostrare così che la società ha violato l’accordo in quanto prima la stessa avrebbe dovuto dare lavoro al cliente sino al raggiungimento della cifra contrattuale e solo dopo eventualmente dare lavoro ad altre ditte.

Questa circostanza di esclusività primaria era anch’essa prevista contrattualmente e quindi il legale chiede al cliente di andare a sentire i titolari di queste altre ditte in merito e farsi rilasciare eventualmente dichiarazione scritta. A seguito di questa richiesta il cliente, indispettito, riferisce al legale: ma le sembra possibile che se vado da queste ditte mi rilascino tali dichiarazioni quando esse lavorano al 90 % con il lavoro della società X? Ma secondo lei – sempre rivolgendosi al legale – se io vado alla ditta X mi danno la documentazione fiscale? Questo deve farlo lei , io le dico solo come stanno le cose!

A parte l’evidente confusione che il cliente fa identificando il legale in un Perry Mason, in un investigatore che gira alla ricerca di prove magari introducendosi nell’azienda a mo’ di 007 per prendere le prove oppure in un mago che ha la bacchetta magica e che ad ogni sua richiesta controparte accondiscende, è ben chiaro che qui non si ha la percezione di come vadano le cause e di cosa si stia parlando quando si affronta l’argomento “prova” nel giudizio.

Ovviamente qui si fa riferimento ad un concetto pratico, sotto gli occhi di tutti, e non certamente si vuole disquisire sulla prova con trattati giurisprudenziali che poi spesso all’atto pratico vengono annientati dal primo testimone falso che si presenta e la cui falsità non è certamente facile da dimostrare. Che poi si creda che molte persone si intimoriscano nel leggere la formula di rito ” consapevole della responsabilità morale e giuridica che assumo con la mia deposizione mi impegno a dire la verità e a non nascondere nulla di quanto a mia conoscenza” è credere in una utopia. Molti testimoni che si presentano in aula non dicono la verità e questo è un dato di fatto persino divenuto oggetto di sketch di alcuni film del passato come il film ” un giorno in pretura” con Alberto Sordi. Come non ricordare il mitico vecchietto che si aggirava nelle aule di tribunale offrendo le sue prestazioni di testimone?

Se si crede che oggi la situazione sia cambiata in meglio si compie un grave errore.

Ed ecco allora che chi crede che la verità processuale sia uguale a quella realmente occorsa si dovrà ricordare la barzelletta di Pierino sulla differenza tra praticamente e teoricamente.

Pierino chiede al babbo: ” babbo che differenza c’è tra praticamente e teoricamente?”

Babbo: ” vai dalla mamma e dille se lei andrebbe a letto con il muratore per 1 milione di euro”

Pierino va dalla mamma e le pone la domanda e questa risponde: ” per 1 milione di euro?? Certo! ma ci andrei anche per molto meno”

Pierino va dal babbo e riferisce la risposta della mamma. Il babbo poi fa ripetere la stessa domanda da Pierino alla mamma per l’elettricista , l’idraulico ecc e la mamma ad ogni domanda risponde sempre: ” Per 1 milione di euro?? Ma per molto meno ci andrei”.

Il babbo quindi guardando Pierino gli dice” vedi Pierino in teoria siamo milionari ma in pratica abbiamo una mamma che è una poco di buono”

La stessa cosa può dirsi per l’argomento trattato: in teoria abbiamo ragione ma in pratica abbiamo perso la causa.

Nel caso indicato, che prenderemo ad esempio per una migliore comprensione, infatti la causa partirebbe senza alcuna prova, al buio. Il buon avvocato chiederebbe al giudice di obbligare controparte al deposito della documentazione fiscale. Sempre che il giudice accondiscenda, circostanza da non sottovalutare e non certa, se controparte non deposita tale documentazione questo comportamento potrà essere considerato negativamente ai sensi dell’art. 116 cpc che in pratica vale ben poco e certamente non sostituisce la prova che come detta il nostro buon codice civile è l’attore a dover dare. Il buon legale chiamerà poi i testimoni indicati dal cliente i quali verranno – scocciati – all’udienza e sicuramente testimonieranno a favore della ditta X anche perchè loro unica fonte di lavoro: forse avranno detto il falso ma non lo si potrà dimostrare.

Al termine ci troveremo, quindi, con una causa dove non si è provato alcunchè e quindi il giudizio sarà sfavorevole all’attore e il povero cliente si troverà non solo a non aver avuto giustizia ma anche a dover pagare tutte le spese processuali, le spese legali del proprio avvocato e quelle di controparte.

E come in tutte le “favole” processuali che però favole non sono, al cliente non rimarrà che lamentarsi della giustizia e dell’operato di quell’avvocato che gli ha fatto perdere la causa, ovviamente omettendo che il predetto legale l’aveva avvertito.

Alla fine di questo post quindi la morale è che le cause non sono un gioco, un pretesto, un qualcosa da fare per farla pagare a controparte, ma vanno ponderate, valutate attentamente e fatte con la piena collaborazione del cliente e se possibile anche evitate.

Colui che lascia in mano al legale la pratica e se ne disinteressa ha buone probabilità di perdere in giudizio.

Colui che coadiuva il legale nella propria attività, analizza in maniera critica ed obiettiva con il professionista le mosse da fare e le prove da richiedere, ascolta i consigli del legale, avrà buone probabilità di vincere la causa: questo almeno quello che ho tratto dalla mia esperienza !

Infine si ricordi che un buon avvocato non è colui che consiglia cause a iosa ma colui che pondera attentamente il da farsi e a volte sconsiglia la causa e tratta la questione come se fosse la sua e come se la dovesse affrontare personalmente. Probabilmente, a volte, il cliente bellicoso uscirà scontento dallo studio in quanto è più facile sentirsi dire ” facciamogli causa e gliela faremo pagare!….Tanto poi tra 10 anni quando la causa è finita e persa impossibile che ti sarai ricordato il consiglio iniziale”; ma se avrà sale in zucca questo scontento iniziale passerà subito in quanto saprà di aver trovato un legale onesto e che in particolar modo cura gli interessi del cliente e noi i suoi.

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