Tizia, erede testamentaria di due quinti dell’asse ereditario della defunta, conveniva in giudizio i coeredi per sentir dichiarare l’acquisto per usucapione dei residui tre quinti del patrimonio, asserendo di averli posseduti per l’intero per oltre cinque decenni, unificando al proprio possesso quello della dante causa. Otteneva ragione dal Giudice di prime cure, tuttavia la pronuncia veniva riformata nel giudizio d’appello.
Invero, il possesso esercitato dal comproprietario, non è sufficiente a perfezionare l’usucapione delle quote appartenenti agli altri comproprietari, ove non venga dimostrata l’intenzione, manifestata agli altri coeredi, di possedere “uti dominus” e non “uti condominus’’.
La Cassazione con sentenza del 30.06.2011 n. 14467, nel confermare la decisione della Corte d’Appello, evidenzia che questa ha correttamente rilevato la carenza della dimostrazione, da parte della convenuta in appello, dei requisiti del possesso, necessari per perfezionare l’acquisto per usucapione dei beni controversi. La Cassazione inoltre chiarisce che il coerede è, nel contempo, comproprietario e compossessore dei beni ereditati e ben può usucapirne l’intero a seguito del possesso, “pacifico, non violento ed ininterrotto”, protrattosi per venti anni, non occorrendo, pertanto, alcuna interversione del possesso già esercitato sul compendio.
A tal fine, tuttavia, è necessario che il possesso sia caratterizzato anche dall’animus possidendi in via esclusiva, e non in termini di comproprietà, essendo a tale scopo necessario manifestare l’intenzione di escludere gli altri dalla comproprietà, non avendo alcun rilievo il mero disinteresse degli altri coeredi.