Difendiamoci da Equitalia ed analizziamo quali possono essere le linee di difesa per il cittadino
Come ci si oppone a una cartella di pagamento e, in caso di scadenza dei termini, al successivo pignoramento di Equitalia?
Non esiste una regola unica per tutti i casi, ma ogni vicenda va analizzata sulla base delle sue particolarità. In verità esistono delle regole generali che consentono di evitare inutili errori o il decorso dei termini di impugnazione.
Prenderemo spunto per l’analisi dei fatti da una illuminante sentenza della Cassazione del 16 giugno 2016, n. 12415 in materia.
La cartella di pagamento non è mai il primo atto del fisco di cui il contribuente viene a conoscenza. Salvo rare eccezioni, il debitore viene prima avvisato della propria morosità con una richiesta di pagamento o un accertamento da parte dell’ente impositore ( c.d. atto prodromico), il quale gli notifica un’apposita intimazione scritta . Se il debitore ritiene che l’importo non sia dovuto, o sia dovuto da un’altra persona, o sia errato nel calcolo, ecc. può sollevare, davanti al giudice, un’opposizione contro tale atto. Se non lo fa nei termini previsti dalla legge, l’atto non diventa più impugnabile, almeno per quanto riguarda il “merito” della vicenda e il debito si considera come se fosse stato ammesso.
Facciamo un esempio.
In caso di multe stradali prima di ricevere la cartella di pagamento l’automobilista deve ricevere il verbale con la contestazione dell’infrazione. Contro quest’ultimo ha 30 giorni di tempo per presentare ricorso. Diversamente, non è più possibile alcuna contestazione.Il fatto, però, che la multa, nell’esempio appena fatto, non sia più contestabile per decorso dei termini ad impugnare non implica che non vi siano più difese per il debitore. Infatti, il procedimento per la riscossione non termina qui…
La notifica della cartella di pagamento
Infatti successivamente viene notificata la cartella di pagamento con cui il contribuente viene messo in condizione di conoscere il proprio debito con lo Stato prima di subire un eventuale pignoramento.
Qualora il contribuente riceva la cartella senza aver mai ricevuto la multa ( sempre seguendo l’esempio fatto), può presentare opposizione al giudice; la cartella verrà sicuramente annullata. Una precisazione è d’obbligo. Spesso molti vengono in Studio sostenendo di non aver ricevuto nulla e alla verifica dei fatti non è mai così. Il fatto che non si ritiri l’atto, una volta ricevuta la cartolina di avviso, non equivale a mancato ricevimento in quanto l’atto si da per notificato. Pertanto qualora si sostenga di non aver ricevuto nulla bisognerà dare la prova di non aver ricevuto nemmeno l’avviso. Come? Andando a verificare agli atti dove effettivamente è stata fatta la notifica e contestarla.
Ma attenzione!
Proporre ricorso contro la cartella perché la stessa è stata notificata in modo non corretto è un errore processuale: infatti, secondo la giurisprudenza, l’opposizione contro il vizio di notifica sana il vizio stesso. In parole semplici – secondo l’orientamento dei giudici – quando il ricorrente contesta la notifica dell’atto, non fa altro che ammettere che la notifica gli è comunque pervenuta; e questo è sufficiente per poterla considerare valida, in quanto gli ha consentito l’esercizio del diritto alla difesa. Dunque, la causa di nullità o annullabilità viene automaticamente meno. Che senso ha, allora, dire che una notifica è invalida se non la si può contestare (o meglio, se nel momento in cui la si contesta, essa viene automaticamente sanata?). In verità, l’unico modo per far valere il vizio della notifica è quello di attendere il successivo atto di Equitalia (un pignoramento, un fermo, un’ipoteca) e poi, contro quest’ultimo, sollevare l’opposizione sostenendo di non aver mai ricevuto la notifica della cartella stessa. Equitalia allora non avrà più scuse e, se non prova che la cartella è finita nelle mani del contribuente, perde la causa.
L’opposizione alla cartella di pagamento
Contro la cartella di pagamento si può presentare opposizione qualora questa presenti dei vizi propri quali:
- la mancata notifica dell’atto prodromico;
- la notifica della cartella ad un soggetto diverso dal legittimato;
- in caso di tentata notifica mentre il destinatario era momentaneamente assente da casa, il mancato invio a quest’ultimo della (seconda) comunicazione con cui lo si informa del deposito della cartella presso la casa comunale;
- la prescrizione o la decadenza del diritto alla riscossione delle somme;
- la mancata indicazione del responsabile del procedimento, necessaria in ogni cartella di pagamento;
- l’inesatta o incompleta indicazione delle modalità e termini per fare ricorso al giudice;
- la mancanza di pagine, all’interno del plico di Equitalia, che dovevano comporre la cartella di pagamento e la spiegazione delle ragioni per cui essa è stata inviata;
- l’insufficiente motivazione della cartella (motivazione che può essere anche fornita con il semplice richiamo a un precedente atto già notificato al contribuente);
- la carente spiegazione delle modalità di calcolo degli interessi, ecc.
Se la cartella non viene impugnata nei termini di legge (30 giorni per le multe, 40 per i debiti Inps e Inail, 60 giorni in tutti gli altri casi) anch’essa non sarà più impugnabile.
Anche in questo caso, il contribuente non perde totalmente le possibilità di difendersi. Vediamo come
Il pignoramento di Equitalia
Quando la cartella è divenuta definitiva, Equitalia può passare alle maniere forti e, quindi, procedere al pignoramento dei beni del debitore o all’iscrizione di misure cautelari (fermo auto e ipoteca).
Si faccia attenzione perché le procedure esecutive di Equitalia sono più “spedite” rispetto ad una medesima azione che un privato cittadino dovesse fare contro un proprio debitore.
Il contribuente può opporsi al pignoramento, ma non può opporre eccezioni per vizi relativi agli atti anteriori del procedimento (atto prodromico e cartella di pagamento). Sono solo due i tipi di contestazione che può sollevare il debitore:
- mancata notifica della cartella di pagamento o notifica irregolare (v. quanto abbiamo detto nel paragrafo precedente “La notifica della cartella di pagamento”);
- eventi avvenuti dopo la notifica della cartella, come ad esempio l’intervenuto pagamento, l’emissione di un provvedimento del giudice o di un’autorità amministrativa che ha sospeso l’efficacia esecutiva della cartella; ecc.
Qualora il contribuente si opponga al pignoramento di Equitalia, quest’ultima non ha l’obbligo di dimostrare l’esistenza e la validità del credito fatto valere con l’esecuzione esattoriale, ma solo che il procedimento si basa su un titolo esecutivo, ossia la cartella esattoriale, validamente notificata. Spetta al contribuente, allora, l’onere della prova contrario e dimostrare che, dopo la notifica della suddetta cartella, si siano verificati fatti tali da privare quest’ultima della sua validità .
Secondo un recente orientamento della Cassazione, Equitalia può dimostrare l’esistenza della cartella anche solo depositando in giudizio l’estratto di ruolo. Se, invece, oggetto della contestazione del contribuente è l’omessa notifica della cartella, Equitalia si salva solo esibendo:
- la relata di notifica del messo comunale: se la notifica è avvenuta a mani;
- l’avviso di ricevimento della raccomandata a.r.: se la notifica è avvenuta per posta.
Alla luce di quanto sopra risulterà comunque chiaro che da Equitalia ci si può comunque difendere.
Per completezza argomentativa debbo dire che in caso di cartelle esattoriali è anche possibile far fare una perizia econometrica e cioè una perizia che vada ad accertare se Equitalia abbia, in considerazione della somma dovuta, applicato tassi usurari. Sembrerà anomala questa affermazione ma tale non è se si considera le varie spese, more ecc. Per non parlare, poi, dei casi di richiesta di rateizzazione in cui le rate vengono maggiorate, rispetto al capitale dovuto, in maniera, a volte, spropositata.
Ma è davvero corretto usare la parola usura quando si parla di cartelle esattoriali o si tratta solo di luoghi comuni?
In verità, quando si considerano tutti gli accessori connessi alla cartella, tra aggio (pari al 4,5% o, se si paga dopo i 60 giorni dalla notifica, all’8%), sanzioni (in media del 30%), interessi di mora (ora al 4,88%) e spese di procedura, è facile raggiungere cifre superiori al 50% rispetto al debito originario. Le cose peggiorano poi quando si chiede la rateazione: in tal caso, nel giro di tre anni la cartella può quasi raddoppiare.
E allora, viene facile richiamare il concetto di usura, che però è tecnicamente diverso, in quanto legato solo agli interessi.: se la cartella aumenta a causa delle sanzioni non si può parlare di usura.
Diverso però è il problema dell’anatocismo sulla cartella esattoriale, ossia l’applicazione degli interessi calcolati non solo sul capitale, ma sul capitale addizionato agli interessi già maturati in precedenza. È ovvio che, in una situazione del genere, il pagamento della cartella potrebbe lievitare enormemente sino ad assumere un peso insostenibile.
Si ricordi poi che la cartella deve essere motivata e, quindi, deve consentire la ricostruzione delle modalità con cui sono stati calcolati gli interessi. In altre parole, il dettaglio contenuto in cartella deve specificare, per ogni tributo di cui si chiede il versamento, anche le percentuali di interessi applicate per ciascun singolo anno, in modo da far comprendere al contribuente cosa sta pagando, a che titolo e se, eventualmente, viene sforato il tetto dell’usura o viene applicato l’anatocismo. Qualora tali indicazioni non vengano fornite, la cartella può essere annullata .
Se poi, si studia in fondo la cartella esattoriale, la questione dell’anatocismo non è affatto da sottovalutare. Si parte con l’aggio, ossia una sorta di “compenso a percentuale” che spetta ad Equitalia per la sua attività di riscossore dello Stato.L’aggio scatta nella misura del 4,5% se il contribuente paga nei primi 60 giorni; sale poi all’8% sforati i 60 giorni dalla notifica della cartella.
Veniamo al capitolo interessi. Qui il discorso diventa più delicato. Sebbene, infatti, gli interessi legali oscillino ormai, negli ultimi tempi, tra lo 0,5% e l’1%, ad Equitalia spetta un tasso quasi cinque volte superiore: infatti, in caso di mancato pagamento entro 60 giorni dalla notifica, sulle imposte sono applicati gli interessi di mora nella misura annualmente aggiornata (dal 1° maggio 2015 sono pari al 4,88%).
Questi interessi, poi, vengono “capitalizzati” – con conseguente pratica anatocistica – nel caso di pagamento rateizzato, ossia quando il contribuente chiede di poter dilazionare (di norma in 72 o 120 mensilità) il debito riportato in cartella.
Si ricordi però che nel caso si voglia intraprendere questa strada la battaglia legale non sarà facile in quanto molti giudici sono restii di fronte a banche e ancor più enti come Equitalia perché da mia esperienza posso affermare, senza timore di smentita, che nei Tribunali la legge non è mai uguale per tutti.