Home » Blog » Diritto Civile » Tutela dei creditori in caso di fallimento

Tutela dei creditori in caso di fallimento

Spesso, quando le cose vanno male e si prevede il fallimento, l’imprenditore si disfa dei propri beni e cerca di salvare il salvabile.
Ma come vengono tutelati, in questo caso, i creditori in caso di fallimento?
L’azione che ci viene incontro è la c.d revocatoria disciplinata dagli articoli 64 e s.s.legge.fallimentare che riguarda il caso in cui gli atti compiuti dal fallito, prima della dichiarazione di fallimento, vengono revocati dal curatore o vengono dichiarati per legge inefficaci nei confronti dei creditori.
Infatti, l’effetto che si ha con la revocatoria fallimentare consiste proprio nell’inopponibilità degli atti compiuti dal debitore ai creditori del fallimento .
Andando ad analizzare gli atti che possono essere oggetto di revocatoria troviamo, in primis, gli atti compiuti a titolo gratuito nei due anni precedenti alla dichiarazione di fallimento ad esclusione dei regali d’uso e degli atti compiuti in adempimento di un dovere morale o a scopo di pubblica utilità sempre che la liberalità sia proporzionata al patrimonio del donante. A questi si aggiungono,poi, anche i pagamenti anticipati di crediti che scadono nel giorno della dichiarazione di fallimento o posteriormente alla stessa. Tutti questi atti verranno conseguentemente dichiarati inefficaci per legge nel senso che non sarà necessaria alcuna azione giudiziaria da parte del curatore in quanto sarà sufficiente la mera trascrizione della sentenza dichiarativa di fallimento senza nemmeno la necessità di accertare lo stato di insolvenza dell’imprenditore per la revoca né provare che gli stessi siano stati compiuti per danneggiare i creditori.

Vi sono poi degli atti in cui , invece, c’è bisogno di una azione giudiziaria da parte del curatore e che debbono essere compiuti nell’anno anteriore al fallimento.
Specificatamente questi atti possono essere revocati solo se sono a titolo oneroso e se le prestazioni eseguite o le obbligazioni assunte dal fallito superano di ¼ ciò che a lui è stato dato o promesso.
Atti, invece, come i pegni, le anticresi e le ipoteche giudiziarie o volontarie costituite debbono essere costituiti entro i 6 mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento per essere revocati.
In questi casi il curatore non dovrà provare l’esistenza dello stato di insolvenza, ma solo il compimento di quegli atti nell’anno o nei 6 mesi dalla dichiarazione di fallimento perché è il mero compimento dell’atto che fa presumere lo stato d’insolvenza. Si può in qualche modo evitare la revoca?
Certamente , ma bisogna riuscire a provare da parte del terzo che non si conosceva lo stato d’insolvenza dell’imprenditore.

Accanto alle ipotesi che abbiamo appena visto ve ne sono altre in cui gli atti sono revocabili solo se il curatore riesce a provare che il terzo era a conoscenza dello stato di insolvenza del soggetto fallito. Sono anche questi atti compiuti nei 6 mesi antecedenti al fallimento che riguardano però i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, atti costitutivi di un diritto di prelazione , anche per debiti di terzi, per debiti contestualmente creati e altri atti a titolo oneroso.

In quest’ultima ipotesi il curatore, però, non dovrà limitarsi a provare la semplice esistenza delle condizioni previste dalla legge, come nelle precedenti ipotesi, ma dovrà riuscire a provare la conoscenza dello stato di insolvenza da parte del terzo se vuole che il tribunale pronunci la sentenza di revoca e ciò in quanto questi atti sono considerati normali nell’esercizio dell’attività commerciale e, quindi, non è detto che gli stessi siano stati compiuti in stato d’insolvenza.
Tra l’altro, revocare il pagamento non vuol dire necessariamente verificare se l’atto che ne sta alla base debba essere anch’esso revocato.
La giurisprudenza ha poi ritenuto revocabili anche i pagamenti effettuai da un terzo per il fallito ( ad es. perché da lui delegato, fideiussore o coobbligato ), a meno che il terzo con il pagamento non abbia anche estinto un debito che era anche il suo, come avviene di solito nel caso del coobbligato solidale che ha pagato.
Per quanto riguarda la costituzione di garanzie (diritti di prelazione), in relazione a debiti contestualmente creati, notiamo che l’art. 67 l.f. al comma 2 parla di revoca di “diritti di prelazione” costituiti dal fallito, anche per debiti di terzi:tali diritti di prelazione sono il pegno e le ipoteche. Quindi nel caso in cui si debba agire per un insoluto nei confronti di società che potrebbe fallire il consiglio è quello di agire immediatamente con decreto ingiuntivo chiedendo la provvisoria esecutività e iscrivere subito ipoteca su un eventuale immobile di proprietà della società debitrice. Qualora si riesca a passare il semestre dal momento dell’iscrizione della ipoteca e quindi a consolidarlo allora, anche in caso di fallimento, saremmo riusciti a privilegiare il nostro credito e potremmo appunto soddisfarci sul ricavato della vendita dell’immobile della società fallita per primi rispetto agli altri creditori chirografari.

 

Vuoi saperne di più?

Richiedi una consulenza

Leggi anche

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Iscriviti alla newsletter

E riceverai una mail ogni volta che pubblicheremo un nuovo articolo.