In una causa per responsabilità medica è onere del medico dimostrare di avere diligentemente adempiuto alla propria obbligazione. Il paziente che chiede il risarcimento del danno deve invece provare l’esistenza del contratto e il nesso di causalità tra la condotta del sanitario e la patologia. Questo principio è stato sottolineato da ultimo dal Tribunale di Palermo in una sentenza del 19 giugno 2014. La causa era stata promossa da due genitori che aveva citato la struttura sanitaria per le patologie sofferte dal loro figlio. I medici, infatti, avevano omesso di trasferire con urgenza la paziente all’interno della stessa struttura ospedaliera perchè fosse sottoposta al taglio cesareo. La donna però era stata costretta a raggiungere altro nosocomio, tra l’altro con mezzo proprio, dove poi le era stato praticato l’intervento. Il neonato presentava già una patologia di origine genetica che si ripercuoteva sul suo sviluppo neuromotorio e psichico. I ritardi ospedalieri avevano peggiorato la situazione del nascituro. V’è da ricordare come la relazione che si va instaurando tra paziente e struttura è autonoma rispetto al rapporto paziente medico. Infatti la prima da luogo a un contratto atipico a prestazioni corrispettive ( contratto di spedialità) al quale si applicano le regole sull’inadempimento contrattuale ex art. 1218 c.c. La diligenza che si richiede al medico non è quella del buon padre di famiglia ma bensì del buon professionista trattandosi, appunto, di rapporto professionale. La diligenza da valutare è infatti quella normalmente adeguata in relazione al tipo di attività e alle relative modalità di esecuzione. Le regole probatorie da seguire sono quelle vigenti in tema contrattuale. Il danneggiato deve, quindi, provare oltre alla conclusione del contratto, l’aggravarsi della patologia o l’insorgenza della stessa e il nesso causale con il comportamento del medico. Il medico, dal canto suo, invece, dovrà provare l’esatto adempimento e quindi di aver adempiuto diligentemente alla propria prestazione e ciò secondo anche quelle linee guida a cui si deve attenere secondo la legge Balduzzi. Nel caso di specie la condotta omissiva posta in essere dalla struttura e dal sanitario viola quegli obblighi di diligenza di cui sia il medico che la struttura sanitaria si debbono far carico ed è conseguenza di un danno sofferto dal nenonato. L’azienda ospedaliera viene così condannata al pagamento di 275.000 euro per i danni causati al bimbo e ai suoi genitori.